Dopo il controverso documentario, Peter Todd risponde alle speculazioni di HBO ai nostri microfoni.
Durante la conferenza Plan B Forum di Lugano, Atlas21 ha incontrato Peter Todd, sviluppatore Bitcoin, per scoprire i dettagli e i retroscena del documentario recentemente rilasciato da HBO.
Sapevi che il documentario di HBO si sarebbe focalizzato sulla ricerca dell’identità di Satoshi Nakamoto?
No, non ne avevo idea. Sospetto che il regista Hoback abbia cambiato direzione all’ultimo momento, probabilmente dopo aver realizzato che un semplice documentario su Bitcoin non avrebbe generato abbastanza interesse. Ho fatto quattro o cinque interviste con lui e solo nell’ultima ha introdotto la questione dell’identità di Satoshi. Nessuno di noi era al corrente di questo cambio di rotta, nemmeno Adam Back. È stata chiaramente una scelta di marketing per rendere il documentario più accattivante.
Quanto tempo hanno richiesto le riprese del documentario?
Le riprese sono durate più di due anni, principalmente durante le conferenze Bitcoin. Ci siamo incontrati due volte a BTC Prague, una volta ad Adopting Bitcoin in El Salvador e alla Baltic Honeybadger di Riga. Il nostro primo incontro è avvenuto proprio durante una di queste conferenze.
Cosa ti disse Hoback quando vi siete incontrati la prima volta?
Mi parlò del suo desiderio di realizzare un documentario su Bitcoin, concentrandosi sui primi anni del protocollo e sulla sua evoluzione. Non ha mai accennato all’intenzione di svelare l’identità di Satoshi.
Ti senti più a rischio dopo la pubblicazione del documentario?
È importante sottolineare che il documentario non solo ha speculato sull’identità di Satoshi, ma ha anche avanzato l’idea non dimostrata che detenga un milione di bitcoin. Tale tesi è solo un’ipotesi basata sui bitcoin inattivi da molto tempo, non ci sono prove concrete. Sappiamo che molte persone hanno minato bitcoin nei primi giorni e il protocollo è stato sviluppato proprio per permettere a chiunque di partecipare al mining.
Si dice che il documentario inizialmente volesse identificare Craig Wright come Satoshi. Hai sentito questo rumor?
No, non ho sentito questo rumor. Se fosse vero, avremmo rovinato il documentario avendo sconfitto Craig Wright in tribunale.
Che tipo di reazioni hai ricevuto dal pubblico esterno alla comunità Bitcoin? Hai ricevuto minacce?
Dopo la messa in onda la mia casella email è stata inondata di messaggi. Una persona in particolare mi ha inviato 30-40 email consecutive chiedendo denaro. È fastidioso ma gestibile, basta cancellarle. Ovviamente c’è il rischio che qualcuno possa pensare che possiedo ricchezze che non ho e tenti un’intrusione o un rapimento. Ho implementato alcune misure di sicurezza aggiuntive, ma preferisco non specificare quali. Diciamo solo che se qualcuno tentasse di entrare nel mio appartamento passerebbe una bruttissima giornata. Ma non è assolutamente vero che mi sto nascondendo.
Qual è la tua opinione sulla narrativa del documentario guidata dalle tesi di Roger Ver?
Penso sia stata un’altra scelta fatta per creare contenuti televisivamente interessanti. Dubito che Hoback credesse davvero alla tesi di Ver, ma probabilmente ha ritenuto che le sue assurde teorie potessero catturare l’attenzione del pubblico. È sempre una questione di marketing e intrattenimento. Il vero problema della produzione di un documentario è capire come rendere Bitcoin visivamente coinvolgente.
Hai parlato con Hoback dopo l’uscita del documentario?
No, il nostro ultimo contatto è stato durante l’intervista finale, quando ha rivelato le sue vere intenzioni. Non ho avuto modo di chiedergli perché abbia scelto me. Se avesse voluto realmente scoprire l’identità di Satoshi, avrebbe potuto contattare me e Adam Back per prove che confutano la tesi del documentario. Nel mio caso sarebbe stato abbastanza semplice: ci sono momenti in cui Satoshi scriveva su BitcoinTalk mentre io ero presente a eventi o occasioni speciali. Ma evidentemente non era questo il suo interesse.
Nel documentario Hoback afferma di comprendere perché Satoshi sia sparito, eppure dedica metà del documentario alla ricerca della sua identità. Come lo spieghi?
Probabilmente era l’unico modo per rendere il documentario commercialmente interessante. È quasi ironico che il suo precedente lavoro sia stato un documentario su QAnon, pieno di teorie cospirazioniste.