Il mining supera la soglia del 50% di sostenibilità secondo la nuova ricerca dell’università britannica.
Secondo un recente studio del Cambridge Centre for Alternative Finance (CCAF), il settore del mining di Bitcoin ha compiuto progressi nella transizione verso fonti energetiche sostenibili, raggiungendo una quota del 52,4% – in aumento rispetto al 37,6% registrato nel 2022.
La ricerca, pubblicata il 28 aprile dalla Cambridge Judge Business School, rivela che il 9,8% dell’energia sostenibile utilizzata nel mining proviene da fonti nucleari, mentre il 42,6% deriva da energie rinnovabili come eolico e idroelettrico.
Un altro dato rilevante emerso dallo studio riguarda il sorpasso del gas naturale sul carbone come principale fonte energetica. L’utilizzo del gas naturale è aumentato dal 25% al 38,2%, mentre il carbone è crollato dal 36,6% all’8,9% nello stesso periodo di riferimento.
I miner hanno inoltre riferito che l’86,9% dell’hardware dismesso viene rivenduto, riutilizzato o riciclato.
La metodologia
L’indagine ha coinvolto 49 aziende di mining, di cui il 41% quotate in Borsa, con operazioni distribuite in 23 Paesi, includendo società come Bitfarms, CleanSpark, Hut 8 e Riot. Lo studio copre circa il 48% dell’attività globale di mining in termini di hashrate e stima un consumo elettrico annuale della rete di 138 TWh, pari a circa lo 0,5% dell’utilizzo globale. Le emissioni sono stimate in 39,8 megatonnellate di CO2 equivalente, mentre l’efficienza hardware è cresciuta del 24% rispetto all’anno precedente.
Gli autori del CCAF hanno sottolineato che il loro nuovo studio rappresenta solo un punto di partenza, con la necessità di ulteriori ricerche su questioni come la mitigazione del metano, il riutilizzo del calore e gli impatti sociali più ampi.
La geografia attuale del mining
Lo studio ha evidenziato il ruolo dominante del Nord America, con gli Stati Uniti che rappresentano il 75,4% dell’attività segnalata e il Canada al secondo posto con il 7,1%. Si registrano anche attività emergenti in Sud America e Medio Oriente, oltre alle operazioni già esistenti nell’Europa settentrionale.
Dal punto di vista economico, l’elettricità costituisce oltre l’80% delle spese operative dei miner, con costi medi dichiarati di $45 per MWh per l’energia e $55,50 per MWh considerando tutte le spese.
Di fronte alle crescenti sfide del settore, molte aziende stanno diversificando le loro attività in aree come l’HPC/AI o adottando strategie energetiche alternative, come l’utilizzo del gas di scarto e il recupero del calore, per migliorare l’efficienza e trovare nuovi flussi di entrate.
Gli autori del CCAF hanno evidenziato che “nonostante la crescita impressionante, la rapida trasformazione ha superato la raccolta di dati empirici trasparenti, lasciando spesso i decisori politici, i ricercatori e il pubblico dipendenti da ipotesi obsolete o informazioni aneddotiche”.
Alexander Neumueller, responsabile della ricerca su asset digitali, energia e impatto climatico presso il CCAF, ha aggiunto che questo report “affronta direttamente un persistente divario di dati basandosi su intuizioni dirette dei professionisti piuttosto che su astrazioni”.