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Bitcoin riduce emissioni e consumi: la tesi pubblicata all’Università del Salento

Davide Coltro by Davide Coltro
Maggio 29, 2025
in Bitcoin, Feature, Interview
Bitcoin riduce emissioni e consumi: la tesi pubblicata all’Università del Salento
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Lo studio econometrico di Jacopo Graziuso racconta come la presenza di Bitcoin sia connessa alla riduzione delle emissioni e dei consumi nei Paesi in cui è minato.

Il dibattito sull’impatto ambientale di Bitcoin è da anni al centro dell’attenzione mediatica, spesso caratterizzato da informazioni approssimative e luoghi comuni. Ma cosa emerge quando si analizzano i dati? Una risposta arriva dallo studio di Jacopo Graziuso, neolaureato in Economia e Finanza presso l’Università del Salento, che ha dedicato la sua tesi al tema, con il titolo: “Bitcoin ed energia: verso l’efficienza e la sostenibilità ambientale”.

“Mi dà fastidio quando mi dicono ‘Bitcoin inquina, Bitcoin consuma’. Questo mi ha spinto a scrivere la tesi”, racconta Graziuso ai microfoni di Atlas21. “Viviamo in un’epoca di informazione gratuita e accessibile, eppure la disinformazione regna sovrana, portando a credenze prive di fondamento scientifico”.

In merito al suo lavoro di ricerca, Graziuso sottolinea: “Ringrazio il professore di econometria Pierluigi Toma che sapeva cos’è Bitcoin e cos’è il mining e mi ha lasciato carta bianca per la stesura della tesi”.

La metodologia utilizzata per lo studio è un’analisi econometrica basata su dati relativi a 171 Stati dal 2009 al 2024, con particolare attenzione alla relazione tra presenza di Bitcoin, emissioni di gas serra (gas climalteranti) e consumi energetici. Per definire la “presenza” di Bitcoin, Graziuso ha creato una variabile che assume valore 1 se almeno l’1% della popolazione utilizza (conosce o ha un wallet) la criptovaluta o se essa è presente nelle riserve statali.

I risultati della ricerca, effettuata soltanto con software open source, contraddicono la narrativa dominante, spiega Graziuso: “L’analisi mostra che la presenza di Bitcoin in uno Stato è associata a una diminuzione delle emissioni di gas serra. Lo studio rivela che la presenza di Bitcoin in uno Stato riduce le emissioni di 39 megatonnellate di CO2 equivalente. In sostanza dove c’è Bitcoin diminuiscono le emissioni di gas climalteranti”.

Graziuso desidera sottolineare la differenza tra consumo e inquinamento: “Il problema non è il consumo, è l’inquinamento. La distinzione è fondamentale: il consumo energetico è necessario per lo sviluppo umano, mentre l’inquinamento deriva dall’utilizzo di fonti energetiche inefficienti. Attualmente la Cina consuma oltre il 4500% in più di tutta la rete Bitcoin. Inoltre, grazie alla flessibilità del mining, Bitcoin può aiutare uno Stato a ridurre i consumi generali”.

La ricerca evidenzia come il mining stia fungendo da catalizzatore per l’adozione di energie rinnovabili e nucleare. Il mining cerca naturalmente le fonti più economiche che sempre più spesso coincidono con quelle più pulite, afferma l’intervistato.

Un aspetto analizzato è il ruolo di Bitcoin come “acquirente di ultima istanza” per l’energia altrimenti sprecata. Graziuso cita diversi esempi:

  • Alps Blockchain, che ha riattivato 32 centrali idroelettriche in disuso nel nord Italia e sta lavorando alla costruzione di impianti in Paraguay ed Ecuador sfruttando energia idroelettrica;
  • progetti come Gridless che sfruttano l’energia in eccesso da fonti rinnovabili in aree remote: “Non solo [Gridless] ottimizza l’uso di risorse energetiche locali, ma reinveste i profitti del mining nelle comunità, migliorando l’accesso all’elettricità e sostenendo l’economia locale”, scrive Graziuso;
  • in Texas, grazie ad accordi con il gestore della rete elettrica ERCOT, i miner sfruttano la flessibilità operativa delle loro macchine per adattare i consumi alle esigenze della rete, spegnendole nei momenti di picco e riaccendendole quando c’è surplus di energia, agendo così come acquirenti di ultima istanza e contribuendo a stabilizzare la rete elettrica.

Un altro aspetto interessante riguarda il recupero del calore generato dalle macchine: “Marathon Digital Holdings in Finlandia utilizza il calore dei suoi ASIC per riscaldare 80.000 abitazioni“, spiega Graziuso. “Si stanno sviluppando anche applicazioni domestiche dove il calore degli ASIC viene utilizzato per il riscaldamento, mitigando ancora di più l’inquinamento”.

L’immersion cooling, tecnica che prevede l’immersione delle macchine per il mining in un fluido dielettrico fatto in laboratorio, viene citata come soluzione promettente per migliorare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale. In questo modo è anche possibile andare a diminuire il rumore delle macchine, mentre il calore prodotto viene dissipato dal materiale dielettrico. Graziuso cita CleanSpark come esempio di mining farm completamente carbon neutral che utilizza tale tecnologia: “Questa tecnica di raffreddamento ci consente di effettuare in sicurezza l’overclock dell’hardware, aumentando le prestazioni attraverso l’incremento della frequenza operativa oltre le impostazioni di fabbrica”, afferma CleanSpark.

La tesi include una sezione dedicata a zone che stanno emergendo come hub di mining sostenibile in diverse parti del mondo:

  • in Kenya ed Ethiopia, “il mining alimentato da energia idroelettrica sta portando acqua potabile ed elettricità a comunità precedentemente non servite”, dichiara Graziuso; 
  • in Georgia e in Texas, il mining di Bitcoin sta contribuendo a rendere più stabile la rete elettrica, intervenendo nei momenti di picco della domanda e assorbendo l’eccesso di energia nei periodi di sovrapproduzione;
  • in Canada, aziende come Upstream Data e Hut 8 Mining utilizzano il mining per valorizzare energia in eccesso o dispersa, tra cui il gas flaring nei giacimenti petroliferi, riducendo così gli sprechi energetici e le emissioni;
  • il progetto Makai alle Hawaii sfrutta la tecnologia OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion) per convertire l’energia termica degli oceani in elettricità pulita e rinnovabile.

Nonostante il potenziale del mining, esistono ancora ostacoli alla completa decarbonizzazione: “La decarbonizzazione è ancora lontana. Attualmente in molti Paesi sono presenti ancora incentivi statali di 40 anni fa che favoriscono le fonti fossili. Per via di tali incentivi, ad oggi i costi degli imprenditori sono minori quando si utilizzano i combustibili fossili. Una volta che termineranno questi incentivi statali forse la situazione migliorerà. Al momento sono i miner che devono volontariamente utilizzare fonti rinnovabili”, osserva Graziuso. L’Italia, ad esempio, continua a dipendere per circa il 60% da fonti fossili.

Un altro dato analizzato nella tesi è il miglioramento dell’efficienza energetica delle macchine specializzate per il mining: “In circa 15 anni, l’efficienza è migliorata di oltre il 95%: questo significa decrescita del consumo e dell’inquinamento”, sottolinea Graziuso.

“Spero che questa ricerca contribuisca a diffondere una narrazione più accurata e basata sui dati“, conclude Graziuso. “Bitcoin non è il problema, ma potrebbe essere parte della soluzione alla sfida energetica globale”.

La tesi sarà presto pubblicata integralmente online come paper scientifico.

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