Il FMI suggerisce un aumento dell’85% dei prezzi dell’elettricità per il mining di asset digitali con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio.
Il 15 agosto due dirigenti del Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno proposto un incremento delle tasse sull’elettricità impiegata per il mining di criptovalute. Shafik Hebous, vice caposezione del dipartimento di affari fiscali, e l’economista della divisione di politica climatica Nate Vernon-Lin, hanno suggerito l’introduzione di una tassa di $0,047 per kWh, che potrebbe aumentare a $0,089 per kWh se si considera l’impatto del mining sulla qualità dell’aria e sulla salute, rappresentando un aumento dell’85% del costo medio dell’elettricità per i miner.
Secondo i due funzionari del FMI tale misura potrebbe ridurre le emissioni di carbonio annuali derivanti dal mining e generare circa $5,2 miliardi di entrate governative all’anno.
Hebous e Vernon-Lin hanno suggerito che la tassa potrebbe spronare i miner ad adottare attrezzature più efficienti dal punto di vista energetico e metodi operativi meno intensivi in termini di energia. Tuttavia i due dirigenti hanno sottolineato la necessità di un coordinamento globale per evitare che i miner si trasferiscano in giurisdizioni con standard meno rigorosi.
Al contrario di quanto sostenuto da Hebous e Vernon-Lin, diversi paper hanno già dimostrato come il mining possa contribuire alla riduzione delle emissioni di metano e quindi alla riduzione delle emissioni di C02 nell’atmosfera. Già oggi in piccola parte stiamo assistendo a tale effetto, con alcune aziende che stanno sfruttando i fenomeni noti come gas flaring e gas venting per il mining di Bitcoin.
Inoltre grazie al basso costo dell’energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, in particolare l’eolico, l’idroelettrico e il solare, i miner si stanno progressivamente interessando all’ottimizzazione energetica, passando da fonti di energia basate su combustibili fossili a fonti più pulite.