I principali produttori di miner di bitcoin esplorano la costruzione di mining farm negli USA per evitare i dazi imposti dal Presidente Trump.
Secondo quanto riportato da Reuters, i tre colossi cinesi che dominano la produzione mondiale di dispositivi ASIC – Bitmain, Canaan e MicroBT – hanno avviato una strategica delocalizzazione verso gli Stati Uniti, spinti dalle pesanti tariffe doganali imposte dall’amministrazione Trump.
La mossa rappresenta una risposta diretta alle politiche protezionistiche americane. Trump ha implementato tariffe del 30% sui prodotti tecnologici cinesi, colpendo duramente un settore che vede la Cina controllare oltre il 90% della produzione mondiale di hardware per il mining.
Bitmain ha fatto da apripista, avviando l’assemblaggio di dispositivi sul suolo americano già lo scorso dicembre, poche settimane dopo la vittoria elettorale di Trump. Canaan ha seguito a ruota, lanciando una produzione pilota negli USA per aggirare le pesanti imposte doganali.
Leo Wang, vicepresidente dello sviluppo aziendale di Canaan, ha definito il progetto americano “esplorativo”, sottolineando l’imprevedibilità delle politiche commerciali attuali. MicroBT, terzo player globale, ha annunciato l’implementazione attiva di una “strategia di localizzazione” americana.
Secondo Guang Yang, chief technology officer di Conflux Network, “la guerra commerciale USA-Cina sta innescando cambiamenti strutturali, non superficiali, nelle catene di approvvigionamento di Bitcoin.”
Per le aziende americane, questa transizione rappresenta “una svolta strategica verso fonti hardware ‘politicamente accettabili'”, ha evidenziato da Yang. Il controllo quasi monopolistico dei tre giganti cinesi – che secondo Frost & Sullivan rappresentavano il 95,4% della potenza computazionale venduta globalmente nel 2023 – ha destato preoccupazioni di sicurezza nazionale negli Stati Uniti.
Sanjay Gupta, chief strategy officer di Auradine, ha sottolineato tale squilibrio:
“Mentre oltre il 30% del mining globale di Bitcoin avviene in Nord America, più del 90% dell’hardware proviene dalla Cina, rappresentando un grave sbilanciamento tra domanda geografica e offerta”.