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Non è un Paese per bitcoiner: l’affronto dell’Italia ai digital asset

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Maggio 22, 2025
in Bitcoin, Feature
italia
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Gli attacchi più gravi espressi da Banca d’Italia, CONSOB e governo nei confronti degli asset digitali spaziano dagli allarmi per la stabilità finanziaria ai timori di evasione fiscale.

In Italia la posizione del governo verso Bitcoin e le criptovalute non può essere di certo definita favorevole. Negli ultimi anni le principali istituzioni finanziarie e le autorità di regolamentazione hanno mantenuto un atteggiamento di profonda cautela, se non di aperta critica, verso il settore. 

Dalla Banca d’Italia alla CONSOB, dal Ministero dell’Economia ai singoli esponenti politici, l’establishment italiano sembra compatto nel considerare gli asset digitali una minaccia piuttosto che un’opportunità. Vediamo nel dettaglio le critiche mosse dalle diverse istituzioni italiane al mondo dei digital asset.

Banca d’Italia: stabilità finanziaria a rischio

Il 29 aprile 2025 la Banca d’Italia ha pubblicato il report sulla stabilità finanziaria, evidenziando come, secondo l’istituzione, Bitcoin e altre criptovalute rappresentino fattori di rischio emergenti sia per i singoli investitori che per l’intero sistema finanziario. Secondo Bankitalia, “la forte crescita di Bitcoin e di altre cripto-attività caratterizzate da elevata volatilità dei prezzi comporta rischi non solo per gli investitori, ma potenzialmente anche per la stabilità finanziaria, date le crescenti interconnessioni tra l’ecosistema degli asset digitali, il settore finanziario tradizionale e l’economia reale”.

Un fenomeno che la Banca d’Italia considera preoccupante è l’acquisizione di bitcoin da parte di società non finanziarie sul modello adottato da Strategy. Secondo il report, questa pratica espone tali aziende a “marcata volatilità dei prezzi” guidata dalla “convinzione che bitcoin possa sostenere i prezzi delle loro azioni”.

Via Nazionale prova a sviare l’attenzione verso l’unico punto che sembra aver colto: Bitcoin è il segnale che qualcosa nel sistema finanziario tradizionale non funziona e, quel qualcosa, è il concetto stesso di banca centrale: l’istituzione responsabile della manipolazione del denaro e di tutte le sue conseguenze. 

Le aziende che comprano bitcoin non mettono a rischio il mercato, cercano protezione patrimoniale in un sistema finanziario che mostra crepe strutturali da anni, tra cui un’inflazione persistente che erode il potere d’acquisto dei risparmiatori, politiche di quantitative easing che gonfiano artificialmente i mercati e un debito pubblico in costante aumento.

Il documento dedica ampio spazio anche alle stablecoin ancorate al dollaro che, secondo l’istituzione, rischierebbero di assumere un ruolo sistemico e di introdurre nuove vulnerabilità nel sistema finanziario. In particolare, il dito è puntato contro i Treasuries Usa perché eventuali fluttuazioni sia nelle stablecoin che nei bond sottostanti potrebbero avere “ripercussioni su altre parti del sistema finanziario globale”.

Se basta qualche stablecoin per mettere a rischio il sistema finanziario globale, forse il vero problema è la debolezza della struttura su cui si regge: riserva frazionaria, eccessiva leva finanziaria e interconnessioni tra grandi banche hanno già dimostrato le vulnerabilità del sistema durante la crisi del 2008 e in diverse altre occasioni.

La criminalizzazione dei servizi P2P

Lo scorso dicembre sempre Bankitalia ha pubblicato un documento in cui sostiene che i servizi di compravendita P2P si configurino come vere e proprie offerte di “crime-as-a-service”. Nel rapporto si legge: “Chi ricicla denaro si rivolge in particolare a soggetti che si trovano in Paesi considerati ad alto rischio e/o privi di legislazione antiriciclaggio e a quelli che, pur autorizzati in giurisdizioni cooperative, disapplicano – in tutto o in parte – la normativa”.

Tra i servizi criticati dalla Banca d’Italia viene citato il sito kycnot.me, che fornisce una lista aggiornata di piattaforme P2P che operano senza applicare controlli KYC. Sempre nell’ambito delle transazioni senza intermediari, nel documento vengono citati i “Satoshi Spritz”, eventi pubblici educativi durante i quali i partecipanti possono scambiare bitcoin con beni e servizi, inclusa valuta fiat.

Oltre all’utilizzo di servizi P2P senza KYC, vengono delineate tecniche più avanzate, quali:

  • mixer, strumenti che mescolano i fondi di diversi utenti;
  • chain-hopping, trasferimenti attraverso diverse blockchain;
  • wallet privacy-focused, che integrano tecniche per oscurare gli indirizzi IP.

Bankitalia sembra però dimenticare che i servizi P2P esistono perché rispondono a bisogni reali e concreti delle persone. Non sono un’invenzione di Bitcoin o delle criptovalute, ma fanno parte della vita di tutti i giorni: come i mercatini di quartiere, le vendite tra privati o il baracchino che vende cibo e bevande. Tali attività sono normali e utili, e il fatto che non siano rigidamente regolamentate non significa affatto che favoriscano il crimine.

Il governatore Panetta: “Bitcoin è una scommessa speculativa”

Lo scorso luglio, all’assemblea dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha espresso forte scetticismo verso Bitcoin ed Ethereum. “Le cripto-attività non ‘garantite’, quali Bitcoin ed Ethereum, non sono di regola emesse da alcun operatore, sono prive di valore intrinseco e non generano flussi di reddito come cedole o dividendi”, ha dichiarato. “Sono create mediante procedure informatiche e non vi è alcun soggetto né attività reale o finanziaria che ne assicuri il valore. Sono talvolta scambiate su circuiti informali e opachi o su piattaforme non sottoposte ad adeguati controlli”, ha aggiunto. Secondo Panetta, tali cripto-attività favorirebbero principalmente elusione fiscale e riciclaggio, rappresentando essenzialmente una “scommessa” o un “contratto speculativo ad alto rischio”.

In realtà, le affermazioni di Panetta riflettono una visione ormai superata e parziale di Bitcoin, che non nasce per garantire cedole o dividendi, ma per offrire una forma di denaro decentralizzato, resistente alla censura e indipendente da qualsiasi autorità centrale.

Il Ministro Giorgetti e la minaccia delle stablecoin

Le preoccupazioni della Banca d’Italia sulle stablecoin trovano eco nelle dichiarazioni del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, durante un evento sull’asset management tenutosi a Milano lo scorso aprile, ha definito le stablecoin denominate in dollari “una minaccia più pericolosa dei dazi commerciali”.

Secondo il Ministro, tali strumenti finanziari permetterebbero agli individui di investire in asset percepiti come a basso rischio senza necessità di un conto bancario americano tradizionale, aggirando così il sistema finanziario europeo. La visione è condivisa da Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della Bce, che ha avvertito che le stablecoin in dollari “potrebbero potenzialmente risultare non solo in ulteriori perdite di commissioni e dati, ma anche nello spostamento dei depositi in euro verso gli Stati Uniti e in un ulteriore rafforzamento del ruolo del dollaro nei pagamenti transfrontalieri”.

Giorgetti ha evidenziato la frammentazione dell’infrastruttura dei pagamenti nell’Unione Europea, esortando le istituzioni a trovare soluzioni per rafforzare l’euro come valuta di riserva. In tale direzione, ha elogiato gli sforzi della Bce nello sviluppo dell’euro digitale, considerato dal Ministro fondamentale per migliorare l’indipendenza fiscale dell’UE. Una posizione, la sua, che si allinea con quella di Cipollone, secondo cui il lancio di una valuta digitale della banca centrale potrebbe contribuire a preservare la sovranità monetaria dell’eurozona.

“L’euro digitale sarà essenziale per minimizzare la necessità dei cittadini europei di ricorrere a soluzioni estere per accedere a un servizio basilare come quello dei pagamenti,” ha osservato il Ministro dell’Economia italiano.

CONSOB: “Bitcoin è una bolla”

Anche la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) ha adottato una posizione particolarmente critica nei confronti delle criptovalute. 

Lo scorso novembre, durante il convegno “Le scelte degli investitori italiani tra consulenza e sostenibilità”, tenutosi presso la sede Consob di Roma, il Commissario Federico Cornelli ha dichiarato: 

“I bitcoin e le altre criptovalute sono strumenti altamente speculativi. Sotto non c’è nulla. Non c’è un debitore. Se mai un giorno dovesse scoppiare la bolla, nessuno venga a chiedere risarcimenti alle autorità o ai governi”.

Sulla stessa linea il presidente Paolo Savona che, lo scorso febbraio, in un’intervista a Class Cnbc, ha espresso preoccupazione riguardo l’entusiasmo per le criptovalute. Secondo Savona, “quando diventerà impossibile sostenere i prezzi di mercato delle criptovalute, allora la mania si tramuterà in panico e il panico porterà al crash. Alla fine chi pagherà? Il piccolo risparmiatore”. 

L’atteggiamento della CONSOB verso Bitcoin ricorda quello dei produttori di candele verso l’elettricità. L’autorità finanziaria italiana continua a dipingere la criptovaluta come un castello di carte pronto a crollare, ma ignora che le sue fondamenta sono radicate in un protocollo matematico inviolabile. La rete Bitcoin, con i suoi migliaia di nodi distribuiti, è più robusta di qualsiasi istituzione centralizzata. Mentre le banche centrali stampano moneta a piacimento, erodendo il potere d’acquisto dei cittadini, Bitcoin offre un rifugio dalla tempesta inflazionistica con la sua offerta finita e prevedibile.

Le dichiarazioni dei politici italiani

Le critiche non provengono solo dalle istituzioni finanziarie, ma anche dal mondo politico. Il senatore Maurizio Gasparri si è distinto per le sue posizioni contrarie a Bitcoin, affermando già nel 2018: 

“Crolla il valore dei bitcoin, ma guarda un po’… Ma chi si fidava di ‘sta roba? Una buona lezione per gli speculatori che hanno tentato profitti e per i fessi che hanno abboccato…”

Nel 2021, Gasparri ha rincarato la dose proponendo un vero e proprio bando: 

“I bitcoin sono una roba assurda, chi li usa si condanna da solo. Vanno messi al bando. Lo proporrò in Senato”.

Lo scorso gennaio, anche Carlo Calenda, segretario di Azione, ha espresso una posizione contraria durante un’intervista a Pulp Podcast, dichiarando: 

“Il Bitcoin è uno schema Ponzi. Tutta quella roba esploderà a un certo punto”.

La stretta fiscale sulle criptovalute

Uno degli sviluppi più controversi riguarda la tassazione delle plusvalenze generate dalle criptovalute. La manovra finanziaria 2025 ha introdotto dei cambiamenti all’aliquota fiscale sulle plusvalenze. Contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato – con un possibile aumento dell’aliquota fino al 42% – la normativa definitiva ha stabilito che per l’anno fiscale 2025 le plusvalenze derivanti da cripto-attività saranno tassate con un’imposta sostitutiva del 26%, senza più prevedere la soglia di esenzione di €2.000. Dal 1° gennaio 2026, invece, l’aliquota fiscale sulle plusvalenze crypto salirà al 33%. 

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