L’Islanda intende trasferire le risorse energetiche attualmente impiegate nel mining di Bitcoin verso il settore alimentare, privilegiando l’agricoltura e le industrie nazionali.
Negli ultimi anni, grazie alla sua abbondanza di risorse idroelettriche e geotermiche, l’Islanda è stato un Paese favorevole al mining di Bitcoin, avendo visto la nascita e la migrazione di numerosi centri di mining all’interno dei confini nazionali. Ora però il Paese si appresta a cambiare strategia.
In un’intervista al Financial Times, il Primo Ministro islandese, Katrín Jakobsdóttir, ha annunciato l’intenzione di ridurre le attività di mining nel Paese al fine di rafforzare il settore alimentare, la produzione di cibo e l’alimentazione di case e settori industriali. La decisione è parte del piano per ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Secondo Jakobsdóttir le richieste energetiche dei 375.000 cittadini islandesi dovrebbero avere la precedenza rispetto a quelle derivanti dalle strutture dedicate al mining.
Jakobsdóttir ha espresso preoccupazione riguardo all’utilizzo da parte dei miner di una parte significativa dell’energia pulita in Islanda e ha proposto che tale energia venga invece indirizzata verso l’edilizia e altri settori industriali del Paese.
Durante l’intervista Jakobsdóttir ha dichiarato:
“Bitcoin è un problema mondiale… ma i data center [impianti di mining] in Islanda utilizzano una parte significativa della nostra energia pulita”.
Le reazioni della comunità Bitcoin
Alle dichiarazioni del Primo Ministro islandese hanno fatto seguito le reazioni dei bitcoiner su X:
Daniel Batten, ambientalista e Ceo di CH4 Capital, ha corretto le affermazioni di Jakobsdóttir, commentando:
“Bitcoin rappresenta un problema globale per politici autocratici, banchieri centrali, propagandisti e una serie di altre persone la cui influenza si basa sul controllo assoluto”.
Peter McCormack, voce del podcast What Bitcoin Did, ha dichiarato:
“Il governo è IL problema a livello mondiale”.