Stefano Capaccioli, commercialista, fondatore e Ceo di Coinlex, ha scoperto un buco nella tassazione delle plusvalenze provenienti dai digital asset in Italia: l’aliquota reale è del 12,5%.
Il 31 ottobre 2024 un’analisi legale condotta dalla società italiana Coinlex fondata da Stefano Capaccioli, dott. commercialista ed esperto in fiscalità su Bitcoin e asset digitali, ha rivelato una clamorosa falla nella tassazione delle plusvalenze da criptovalute in Italia.
Secondo lo studio, l’aliquota effettiva per le imposte sostitutive sui guadagni da cripto-attività è sempre stata al 12,5%. Atlas21 ha intervistato Stefano Capaccioli per approfondire la questione.
Da dove deriva, originariamente, la tassazione al 26%?
Il 26% è stata una consuetudine a pensare che tutti i redditi derivanti da investimento o speculazione fossero per natura al 26%. Ma in realtà in campo tributario ciò che conta è la Legge scritta, dato che ci troviamo in uno Stato di diritto. La prima interpretazione che deve essere fatta è quella letterale e occorre partire dal presupposto che il legislatore abbia scritto ciò che era la sua volontà. L’interpretazione dell’AdE al 26% è stata un abbaglio, un errore, una svista.
La tassazione sui redditi diversi di capitale nasce nel 1997 con un’aliquota sostitutiva del 12,5%. Nel 2011 fu aumentata prima al 20% e poi nel 2014 al 26% attraverso un metodo di stratificazione normativa. Soltanto i titoli di Stato vennero esclusi da questi aumenti in modo tale da lasciare l’aliquota al 12,5%. Questa era la situazione prima della Legge di Bilancio del 2023, la 197/2022.
Con tale Legge è stata introdotta la tassazione sulle plusvalenze da cripto-attività. Per introdurre la tassazione sui digital asset è stata aggiunta la lettera c-sexies nell’articolo 67 del TUIR. Perciò i redditi derivanti da cripto-attività dal 1° gennaio 2023 diventano imponibili al 12,5% con la modifica dell’articolo del 1997. Nelle successive modifiche del 2011 e del 2014 non è stata aggiunta la lettera c-sexies. La Legge è chiara.
Quindi è più un errore interpretativo da parte dell’AdE o un errore di trascrizione della Legge?
Se fosse un errore di trascrizione della Legge potrei sostenere che in centinaia di altre Leggi siano presenti errori di trascrizione.
Se l’aumento della tassazione non è stato scritto nella Legge significa che il legislatore non aveva la volontà di aumentare la tassazione sulle cripto-attività.
C’è la possibilità che l’AdE risponda alle istanze di rimborso dei contribuenti che hanno pagato il 26%?
L’istanza di rimborso è liberamente disponibile e scaricabile ed è da inviare via PEC all’AdE. Ognuno faccia le sue riflessioni e se lo ritiene corretto, valuti di inviare la richiesta di rimborso. Se l’AdE dovesse rispondere negativamente ci sono 60 giorni di tempo per andare presso la Corte di Giustizia tributaria. In caso di non risposta, servono 90 giorni dalla presentazione della richiesta per poter impugnare l’istanza presso le Corti di Giustizia di primo e secondo grado.
C’è la possibilità concreta di ottenere il rimborso o si rischia soltanto di perdere tempo e soldi?
Ogni giudizio è una storia a sé. Rispondere a questa domanda è come prevedere il futuro. Quello che posso dire è che se fossi l’ufficio legale dell’AdE non saprei quali argomentazioni portare per difendere la sua posizione.
Certamente ci sono dei rischi con le spese legali. Tuttavia, se un giudice dovesse leggere l’attuale norma per come è scritta, è probabile che possa condannare l’AdE a pagare le spese legali.
Da qualche figura del settore sono arrivate critiche nei tuoi confronti che sostengono che tu abbia messo in piedi questa storia per ottenere più clienti. Vuoi rispondere alle accuse?
Ognuno si qualifica per quello che dice e per quello che fa. Io rispondo per quello che faccio io. Quello che vi ho raccontato è tutto scritto, ho messo tutti i link pubblici e l’istanza di rimborso gratuita. Qualunque mio collega avrebbe potuto farlo. Credo di averlo fatto più per la community che altro.
La proposta della tassazione al 42% sulle cripto-attività potrebbe essere considerata incostituzionale?
Penso ci sia una dubbia legittimità costituzionale. Secondo il mio parere, tale discriminazione deve essere vista in violazione dell’articolo 47 della Costituzione che afferma: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”. Se è “in tutte le sue forme” non può essere dato un giudizio di valore o meritevolezza al risparmio.
Perciò un’aliquota al 42% rispetto alle altre asset class genererebbe una disciminazione che viola l’articolo 47 della Costituzione.
Se è “in tutte le sue forme”, potrei investire in asset class che per altri potrebbero essere considerate folli come forme di risparmio. La possibilità di scegliere in quale forma di risparmio investire i propri soldi deve essere lasciata al contribuente, senza che il governo o il Parlamento possano influenzare tale scelta.
Potrebbe essere considerata discriminazione anche la differenza di tassazione prevista tra prodotti come ETP, ETN e il relativo asset sottostante?
Sì, o viceversa. Con Bitcoin, l’ETF verrebbe tassato al 26% e l’asset al 42% mentre con l’oro, il lingotto verrebbe tassato al 26% mentre Tether Gold, prodotto che replica il prezzo dell’oro, al 42%. È una cosa che non sta in piedi.
Il governo potrebbe chiedere al Parlamento di fare ora una legge retroattiva che va a modificare dal 12,5% al 26%, dal 2023 ad oggi?
In Italia tutto è possibile, poi esistono tribunali e Corte Costituzionale. Una norma retroattiva sarebbe estremamente contestabile e andrebbe a riferirsi all’anno fiscale 2024. Per il 2023 dubito fortemente che possano modificare qualcosa.